Il deserto di Lop. Uomo e natura nella “novella” di Raoul Schrott

di Luca Baruffa

Il deserto di Lop. Novella dello scrittore austriaco contemporaneo Raoul Schrott è il resoconto di un viaggio, intrapreso alla volta dei deserti del mondo, in cui ogni granello di sabbia aggiunge un tassello fondamentale alla narrazione della storia umana nel suo complesso e inscindibile, nonché imprescindibile, legame con la natura. Pubblicato per la prima volta in traduzione italiana nel 2022 dalla casa editrice La Grande Illusion, e corredato da un saggio di Giulia A. Disanto, nonché da un suggestivo apparato grafico ad opera di Maurizio Minoggio, il volume ha incontrato sin da subito il favore della critica, distinguendosi per forma e contenuto.[1]

Raoul Schrott, nato nel comune austriaco di Landeck, in Tirolo, il 17 gennaio 1964, è considerato uno degli scrittori di lingua tedesca più brillanti del nostro tempo. La sua attività di romanziere, poeta, saggista, traduttore e studioso di letterature comparate lo ha portato a esplorare i rapporti intrinseci tra poesia e natura, tra particolare e universale, tra ciò che viene finitamente prodotto dal genere umano e l’inevitabile vastità di ciò che v’è oltre. Tra le sue opere più acclamate, sia in poesia che in prosa, ricordiamo Finis Terrae. Ein Nachlass (1995), Tropen. Über das Erhabene (1998) e Eine Geschichte des Windes (2019).

Il deserto di Lop, inteso sia come prodotto letterario che come luogo geolocalizzato, è l’esempio perfetto di una poetica caleidoscopica che si configura come specchio della complessa realtà umana, immortalata nel suo eterno conflitto, o meglio, confronto con la natura, che dal canto suo abbraccia detta realtà in una dolce morsa calda:

Le particelle di quarzo, di color turchese e blu reale, blu oltremare, verde smeraldo, corniòla, rosso cinabro e scarlatto, eliotropio e giallo ambra, grigio e bianco, sparpagliate su un foglio di carta geografica, donano alla sabbia riflessi iridescenti, l’intera cataratta della luce. L’erg si estende da ovest a est, parallelo ai monti di Kuruk Tagh; nel mezzo si trova il deserto di Lop. (p. 132)

Suddiviso in ben 101 «quadri lirici» (p. 149), Die Wüste Lop Nor. Novelle – questo il titolo originale in lingua tedesca – si presenta anzitutto come uno studio lirico-naturalistico sul e del suono. Difatti il protagonista, il quarantatreenne francese Raoul Louper, gira il mondo per studiare il cosiddetto “canto delle dune”, un curioso fenomeno naturale che avviene quando, mossi dal vento o calpestati, i granelli di sabbia asciutta scivolano lungo lo strato di sabbia bagnata delle dune generando un affascinante concerto di suoni spettrali. E proprio come fanno i versi, i rumori e i silenzi presenti nel libro, la narrazione prende le forme di un’onda sonora, manifestandosi in un costante alternarsi di luoghi e tempi che cambiano a seconda del flusso di memoria del narratore – un narratore che non è Raoul (p. 136). Questi sembra aver ascoltato le vicende del libro dal racconto di più voci che, a loro volta, hanno dato vita a una moltitudine di cornici narrative.

Alla dimensione naturalistica, infatti, si alterna quella intima del protagonista, che invero alla prima si sovrappone e che fa de Il deserto di Lop anche uno spazio di condivisione. In essa vengono raccontati gli incontri, le amicizie e soprattutto gli amori, carnali e platonici, del malinconico “viandante”, costretto a separarsi da Francesca, Arlette ed Elif, le sue amate, a causa di una condizione esistenziale che si pone forse al di là della volontà individuale; e ciò viene fatto con estrema delicatezza, in una prosa dallo spirito deciso e dall’apparato metaforico nitido e pungente, che rende la lettura godibile e sorprendentemente accattivante. Perché sì, nonostante la sua impostazione ‘lirica’, il volume è scritto in prosa, con righi spezzati al posto dei versi e uno stile che è al tempo stesso conciso ed evocativo.

Ai perni dell’amore e del suono, per estensione della natura, caratterizzanti la novella, se ne aggiunge un terzo, il tempo, che conferisce ordine alla narrazione generando un Lop[2] , temporale appunto, la cui circolarità perfetta viene racchiusa nell’immagine della clessidra della città di Nima, in Giappone, presente sia all’inizio (I) che alla fine (CI) del testo, simbolo di una ciclicità naturale da cui il genere umano non può sottrarsi.

Quel che Schrott compone in questo libro, che si apre a molti percorsi di lettura, è – come […] accade in altre opere, di vocazione quasi enciclopedica, dello scrittore – una perfetta miniatura della realtà universale, un’allegoria del mistero dell’esistenza umana, resa in una scrittura piena di respiro e non priva di un ateo misticismo. Il deserto di Lop vuol essere una «Naturgeschichte der Liebe», sostiene a voce l’autore: una «storia naturale dell’amore.» (pp. 160, 161)

Così Disanto conclude il suo saggio, condensando in poche parole l’essenza de Il deserto di Lop, un dipinto di suoni e passioni che raffigura magistralmente la natura, inesorabile fonte di vita, alle prese con la finitezza che da sempre segna l’esistenza del genere umano.


[1] Link al libro: http://www.lagrandeillusion.it/it/libro/il-deserto-di-lop/.

[2] Gioco di parole con l’inglese loop, che significa letteralmente “circuito”, “anello”, e che rimanda a un percorso il cui inizio coincide con la sua fine.

Lascia un commento